La chiesa di S. Andrea Apostolo ad Ascoli Piceno è una delle 16 chiese romaniche della città. Sorge sul corso principale, Corso Mazzini, e ha subito nel tempo varie trasformazioni: costruita attorno alla metà del XIII sec., è dotata di una lunetta con sculture rappresentanti la Madonna in trono con Bambino e Santi, risalente al XIV sec. La si può vedere sulla facciata esterna che dà sul corso.
Nel XVI sec. la chiesa viene assegnata alle monache agostiniane, costrette a lasciare il loro monastero di S. Liberatore alle Chiaviche a causa di una inondazione provocata dal fiume Castellano (nei pressi della Cartiera Papale). Furono le Agostiniane a modificare internamente la chiesa medievale, con la costruzione del chiostro e di una struttura avente funzione di cantoria, dalla quale le monache potevano assistere alla celebrazione liturgica. Le trasformazioni più radicali risalgono, però, al periodo dell’Unità d’Italia quando l’edificio passa di proprietà al comune di Ascoli Piceno che lo trasforma nella Scuola di Arti e Mestieri (1908), non più esistente.
Nonostante le varie trasformazioni d’uso nella chiesa di S. Andrea si conservano, ancora oggi, dei bellissimi residui di affreschi datati tra il XIII e il XIV sec. Si tratta in gran parte di ex voto, immagini fatte realizzare appositamente da un committente (spesso abbiente) per richiedere una grazia particolare “pro anima” al Santo rappresentato; tanto che, in alcuni casi, si nota la figurina del committente rappresentata in basso, più piccola perché “meno importante“ rispetto alla divinità (1). L’ affresco che colpisce di più, anche per il suo stato di conservazione, è quello rappresentante la “Crocifissione di S. Andrea” (2), il Santo titolare della chiesa. S. Andrea, “pescatore di uomini”, il primo chiamato da Gesù per la sua missione, viene crocifisso a Patrasso (in Grecia) con i polsi legati ad una croce tradizionale, molto simile a quella di Gesù (come riportato nel testo apocrifo “gli Atti di Andrea”, citati da Gregorio di Tours): la modalità di crocifissione descritta nel testo apocrifo corrisponde perfettamente alla rappresentazione dell’affresco. La cosiddetta “croce di S. Andrea” con cui sarebbe stato crocifisso l’apostolo (per suo volere, perché non degno di imitare Cristo) è, invece, una rappresentazione successiva; la si trova molto diffusa solo a partire dal XVII sec. Accanto ad Andrea, impegnato nell’ organizzazione del supplizio, c’ è un personaggio che sembrerebbe un boia: è rappresentato di profilo e indossa un cappuccio di colore giallo. In realtà, è un ebreo.
La persecuzione degli ebrei, cioè di coloro che avevano tradito Cristo perché suoi uccisori, inizia al tempo delle crociate: gli ebrei vengono etichettati come “perfidi”, privi di un’anima, tanto che la Chiesa permette loro di svolgere l’attività per cui sono noti, il prestito di denaro con l’interesse, una tassa sul tempo, che non può essere venduto perché appartenente a Dio. Un’attività che i cristiani non potevano di certo compiere, al contrario dei “perfidi” ebrei. Sempre la Chiesa, con papa Innocenzo III, nel 1215 stabilisce che gli ebrei devono riconoscersi con dei segni: una rotella gialla cucita sull’abito, ben visibile, o un cappello a punta, solitamente anch’esso giallo perché questo è il colore dell’infamia. Questi segni li rintracciamo nel campo artistico dove ha inizio una discriminazione ebraica, quella che viene chiamata “iconografia antiebraica”, finalizzata alla rappresentazione negativa del diverso. Gli ebrei non solo vengono identificati con il cappello (3) o la rotella gialla (4), ma spesso li troviamo rappresentati “brutti”, perché malvagi: proprio per questo sono rappresentati di profilo, perché è più facile imbruttirli, rappresentarli con il naso aquilino o mentre fanno delle smorfie, trasformandoli in una caricatura, per cui riconoscibili (5).
Troviamo gli ebrei anche nelle scene della Passione di Cristo: il popolo ebraico mise a morte Gesù scegliendo di liberare Barabba e, secondo il Vangelo di Giovanni, i Giudei ebbero la totale responsabilità della morte del Messia. Ancora più forte è la citazione nel Vangelo di Matteo: alla risposta di Pilato alla folla che voleva crocifiggere Gesù, essa risponde “il sangue di quest’uomo ricada su di noi e su tutti i nostri figli” (Mt. 27,25), la condanna del popolo ebraico, alla quale ci si appella per legittimare le persecuzioni degli ebrei in ogni tempo (teoria adottata a partire dal IV-V sec.).
I Giudei sono i carnefici del Messia: anche se essi non hanno partecipato attivamente alla sua crocifissione, il giudizio negativo di “traditori” porta gli artisti a rappresentarli mentre sono impegnati a crocifiggerlo o fanno parte della folla che assiste alla sua morte, come vediamo ad Urbino (Oratorio di San Giovanni) dove la folla di Giudei è contrassegnata dallo scorpione, altro simbolo giudaico (6).
Tornando al nostro affresco, il personaggio vicino a S. Andrea apostolo potrebbe essere un ebreo perché è rappresentato con quegli attributi che connotano l’iconografia antiebraica: egli sta partecipando direttamente alla crocifissione di Andrea; in questo caso il giudeo sta mettendo a morte un apostolo, un apostolo molto particolare: il primo a riconoscere in Gesù il Messia (Giovanni 1,41) ad aver preso parte a molte importanti occasioni come uno dei discepoli più vicini a Gesù. Il carnefice indossa un cappuccio giallo a punta ed è rappresentato di profilo, accentuando il non bellissimo naso che lo caratterizza.
Un esempio di iconografia antiebraica ad Ascoli Piceno che ha accolto una importante comunità di ebrei già dalla fine del XIII sec., relegata nel ghetto dell’attuale Via Giudea dalle disposizioni papali del 1555.

Valentina Carradori